Uso delle ghiacciaie - Museo Valdimagnino

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Uso delle ghiacciaie

La Ghiacciaia
 


 Ghiacciaia della cascina Favaglie restaurata dai volontari di Italia Nostra

Via Merendi, 28 - Cornaredo (MI)

 

La ghiacciaia era una struttura sorta per la conservazione delle derrate alimentari altrimenti deperibili.

Funzione essenziale della struttura doveva essere quello di garantire il mantenimento del freddo il più a lungo possibile. Per ottenere questo risultato lo sviluppo progettuale di questi particolari edifici subì diverse trasformazioni, individuando nella ghiacciaia a sezione verticale tronco conica la forma ideale per ritardare lo sciuoglimento del ghiaccio. Quando però sul finire dell’Ottocento si costruirono grandi strutture, l’inerzia termica della notevole quantità del ghiaccio conservato permise di abbandonare il concetto della ghiacciaia tronco-conica, dove il ghiaccio era a contatto della muratura perimetrale per adottare forme più idonee alla disposizione delle derrate alimentari poste al suo internogiungendo a progettare strutture anche complesse con camere perimetrali e grandi coperture a volta.

Concetti basilari
Tenendo conto della bibliografia disponibile riferita ad altre ghiacciaie e con l’aiuto diretto dalla esperienza maturata nel restauro della ghiacciaia della cascina Favaglie, andiamo ora ad analizzare i concetti basilari per la costruzione di questi particolari frigoriferi.

1. Forma delle ghiacciaie.
Le prime ghiacciaie ebbero una origine spontanea nelle zone montane, infatti i montanari notarono che nelle buche e in particolari depressioni naturali la neve si manteneva a lungo, anche quando nei prati vicini da tempo la neve si era sciolta al sole. Per le prime ghiacciaie furono utilizzate caverne naturali, dove la neve veniva introdotta da una apertura che poi veniva chiusa e protetta con vegetazione. Poi sorsero le “nevere”, che non erano altro che buche scavate nel terreno a forma circolare a sezione tronco-conica. Tale forma derivava inizialmente da ragioni statiche dovute all’angolo di attrito del terreno, ove era scavata la ghiacciaia. La pianta circolare rappresentava una buona soluzione statica per contenere la spinta del terreno sulle superfici perimetrali delle ghiacciaie. Tale spinta poteva considerarsi bilanciata o trascurabile nei periodi invernali, primaverili ed estivi, in quanto contrastata dalla pressione interna del ghiaccio verso le pareti.

Tuttavia nel periodo autunnale, quando la ghiacciaia era vuota, la spinta del terreno esterno, per di più reso pesante dalle piogge, diveniva considerevole e pericolosa per una parete piana. La forma circolare invece scaricava le spinte lungo le direttrici tangenziali alla circonferenza, con un comportamento assimilabile in pianta a quello di una serie di archi circolari disposti orizzontalmente lungo il perimetro. In questo modo era possibile limitare le dimensioni delle murature, che in genere non superavano i 60 centimetri di spessore, anche in casi di ghiacciaie di 10-15 metri di diametro. Nel periodo estivo la massa del ghiaccio, stipata all’interno della ghiacciaia, risentiva della maggiore temperatura dell’aria e  della struttura con la tendenza a sciogliersi nelle zone a diretto contatto della parete e del fondo con la conseguente discesa del livello. Con l’abbassamento della massa del ghiaccio, la parete perimetrale inclinata consentiva di mantenere il contatto con il ghiaccio, evitando così di avere intercapedini, dove l’aria per azione convettiva avrebbe accelerato il processo di liquefazione della massa ghiacciata.

2. Drenaggio per lo smaltimento dell’acqua di scioglimento.
Quando si sceglieva la posizione, dove costruire una ghiacciaia, preferibilmente ci si orientava verso un terreno asciutto, riparato dai raggi solari ed in prossimità di un luogo, ove reperire facilmente neve o ghiaccio da stipare all’interno. Per evitare che le acque di scioglimento stagnassero a contatto del ghiaccio medesimo, accelerando il processo di scioglimento, occorreva predisporre un opportuno sistema di drenaggio. Quando non era possibile evacuare le acque per gravità, occorreva provvedere ad un sistema di pompaggio. Questo avveniva nella ghiacciaia della cascina Favaglie, dove un fondo inclinato convergeva verso un pozzetto dove, tramite una pompa a mano, una tubazione in piombo consentiva l’evacuazione delle acque durante il periodo estivo. Importante mantenere separato il condotto di scarico con un diaframma (o collo d’oca) sempre per evitare che l’aria esterna possa innescare moti convettivi al di sotto della massa ghiacciata.

3. Accesso rivolto a Nord con bussola di accesso a doppia porta.
L’orientamento a Nord era importante affinché, durante l’accesso alla ghiacciaia nel periodo estivo, i raggi solari non colpissero la porta e, con l’apertura della porta, non entrassero lungo il cunicolo.  L’accesso alla ghiacciaia era sempre munito di doppio sistema di chiusura. Le porte dovevano essere poste a sufficiente distanza in maniera di consentire, durante il deposito od il prelievo del ghiaccio o delle derrate alimentari, di chiudere una porta prima della apertura della seconda. Questa tecnica costruttiva riduceva al minimo il contatto dell’aria esterna con quella interna a temperatura più fredda. L’esempio tipico è quello del nostro frigorifero: se dimentichiamo la porta aperta, costringiamo il motore a produrre altro freddo, mentre nel caso della ghiacciaia rischiamo di perdere il freddo, che non potremo più recuperare.

4. Sfiati per smaltire l’aria umida all’interno della ghiacciaia.
Quando la ghiacciaia non era per lungo tempo utilizzata, la camera d’aria, sovrastante la massa del ghiaccio a contatto con le pareti a temperatura più calda, tendeva a condensare. Questa aria umida a contatto del ghiaccio ne poteva facilitare il suo scioglimento. Ecco allora sorgere la necessità di munire la parte superiore della volta di copertura di appositi sfiati, che favorivano un modesto ricambio d’aria. Nel caso della ghiacciaia Favaglie quattro sfiati del diametro di cm 12 sono disposti sulla volta e tramite condotti sub orizzontali collegano la camera interna all’ambiente esterno.

5. Utilizzo di paglia od altro materiale coibente a contatto del ghiaccio.
Conosciamo il fatto che la temperatura del terreno non scende mai al di sotto di 7-9˚; pertanto era necessario proteggere il contatto del ghiaccio con la struttura, pareti e fondo della ghiacciaia ed a questo scopo venivano usati materiali coibenti più eterogenei quali paglia, pula di riso o foglie secche. Questi materiali, oltre ad essere disposti sul fondo o contro la superficie laterale, venivano anche interposti fra strato e strato del ghiaccio; questo evitava, specialmente nelle grandi ghiacciaie ove il ghiaccio veniva anche prelevato e venduto, di evitare che la massa divenisse un unico blocco di ghiaccio. L’interposizione del materiale coibente consentiva, dove necessario, di mantenere integra la pezzatura delle forme di ghiaccio, ottenute dal prelievo, in apposite pozze adiacenti alla ghiacciaia.

6. Copertura delle ghiacciaie.
La temperatura esterna o direttamente i raggi solari o le acque meteoriche avrebbero posto a grave rischio la conservazione del ghiaccio all’interno delle ghiacciaie. Allo scopo, secondo i luoghi di edificazione, si adottarono vari metodi esecutivi: cupole in muratura, strutture lignee con tetti in paglia e nelle zone montane coperture con grandi lastre di pietra. Per potenziare la coibentazione della copertura, quando la portanza della struttura lo consentiva, era consuetudine coprire la ghiacciaia con uno strato di terreno naturale. Ecco allora le caratteristiche collinette che un tempo era possibile notare in parchi o nelle vicinanze delle case signorili. Nel caso della ghiacciaia Favaglie il terreno di copertura arrivava sulla sommità della calotta ad uno spessore di un metro di terra che veniva mantenuta da un muretto laterale, le cui tracce sono state rilevate durante i lavori di restauro.

7. Ubicazione ghiacciaie e protezione dai raggi solari.
Quando si iniziò a costruire le ghiacciaie al di fuori delle strutture abitate, per la loro ubicazione furono tenuti in debito conto diversi fattori essenziali:  la vicinanza al luogo, ove realizzare una pozza per la produzione del ghiaccio, un terreno elevato ed asciutto, la comodità di accesso per riporre e prelevare le derrate alimentari, la prossimità di zone ombreggiate, all’interno di giardini e parchi, al riparo dall’ irradiamento solare. Quando i primi fattori condizionavano l’ubicazione della ghiacciaia in zone prive di vegetazione, allora si provvedeva a creare artificialmente la protezione necessaria. La collinetta e l’area della ghiacciaia venivano piantumate con essenze arboree ed arbustive. Nel caso specifico della ghiacciaia della cascina Favaglie si racconta che, oltre a varie specie di alberi, anche la vite venisse coltivata sulla sua sommità. Infatti la presenza di tutte queste specie arboree fu la causa del degrado della cupola e delle pareti perimetrali, perché, oltre alle sollecitazione trasmesse dagli alberi di alto fusto dall’azione del vento, anche l’apparato radicale aveva profondamente intaccato la struttura costituita da una muratura di  mattoni.

8. Profondità dal piano di campagna.
Nelle zone montane, o in presenza di dossi naturali la possibilità di scavare una buca con uno scarico dei drenaggi verso valle, non poneva limiti, se non strutturali, alla profondità delle ghiacciaie. Anche in pianura solitamente la ghiacciaia veniva incassata nel terreno, ma era una cosa diversa: il posizionare una ghiacciaia in profondità poteva comportare seri problemi per l’evacuazione delle acque di scioglimento del ghiaccio e inoltre in particolari zone si doveva tenere in debito conto il livello della falda acquifera. Con una ghiacciaia troppo profonda, questa poteva addirittura essere invasa dalle acque con gravi conseguenze per il ghiaccio e per le derrate alimentari, conservate al suo interno. Come già descritto, l’impossibilità di scavare in profondità veniva risolta, creando un rialzo di terreno intorno alla ghiacciaia.

9. La massa del ghiaccio.
La costruzione delle ghiacciaie andò man mano perfezionandosi così da raggiungere dimensioni considerevoli. Con l’aumentare delle dimensioni aumentò anche il volume del ghiaccio stivato al suo interno con un maggior volano termico che facilitava la conservazione del freddo nelle ghiacciaie. Sorsero così al posto delle prime ghiacciaie grandi magazzini di stoccaggio: si pensi che negli Stati Uniti il ghiaccio veniva caricato mediante nastri trasportatori che lo convogliavano all’interno di grandi capannoni coibentati lunghi centinaia di metri. Con le nuove tecnologie di approvvigionamento e stoccaggio saremmo giunti a costruire sistemi per la conservazione del ghiaccio naturale sempre più grandi, se non fosse stato inventato il modo di produrre il ghiaccio artificiale. Con la nascita dell’industria delle fabbriche del ghiaccio, che potevano produrlo secondo il fabbisogno senza la necessità dello stoccaggio, piano piano le ghiacciaie furono messe in disuso. Alcune vennero demolite, altre abbandonate al degrado del tempo. Di recente è rinato l’interesse per queste particolari strutture, provvedendo al loro restauro ed alla conservazione della “mamma di tutti i frigoriferi”.

10. Sistemi antiinquinamento.
Come riscontrato nella rimozione del terreno di copertura della ghiacciaia della cascina Favaglie tutto l'estradosso della volta era rivestito da uno strato spesso 5.6 cm di carbonella di legno. Si ipotizza che questo strato fosse un sistema di filtro a carboni attivi atto ad impedire il percolamento di liquidi inquinanti all'interno della ghiacciaia.

La ghiacciaia, dalla quale sono state dedotte per buona parte le cognizioni costruttive elencate nei punti precedenti è quella della cascina Favaglie a Cornaredo (MI), www.ghiacciaiafavaglie.it  
restaurata dai volontari di Italia Nostra con un lungo lavoro durato più di venti anni. Ora questa struttura, parte integrante del complesso museale collegato al Punto Parco Agricolo Sud di Milano “Cascina Favaglie”, è visitabile e utilizzabile anche  per conferenze ed esposizioni museali.



 
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